La risposta delle cellule T nei confronti della variante Omicron


7/2/2022
Keeton e colleghi hanno pubblicato sulla rivista Nature i risultati dello studio: T cell responses to SARS-CoV-2 spike cross-recognize Omicron  condotto su un totale di 138 soggetti raggruppati in base allo stato di vaccinazione e in base alla gravità di COVID-19, al fine di : 1) determinare se le cellule T indotte dalla vaccinazione o da una precedente infezione da SARS-CoV-2 siano in grado di riconoscere Omicron; 2) definire il profilo delle risposte dei linfociti T nei pazienti con infezione da Omicron rispetto a quelli infettati con altre varianti.

La più recente variante di SARS-CoV-2 che desta preoccupazione, denominata Omicron1, con oltre 30 mutazioni nella proteina spike, può essere in grado di eludere la risposta anticorpale neutralizzante che si associa ad una minore efficacia del vaccino contro la forma severa di COVID-19.

Alcuni studi, condotti su pazienti con COVID-19, hanno dimostrato che le cellule T specifiche contro SARS-CoV-2 svolgono un ruolo centrale nella modulazione della gravità di COVID-19. Infatti, misurando la risposta dei linfociti T CD4+ (chiamati anche linfociti T helper), dei linfociti T CD8+ (detti anche linfociti citotossici) e degli anticorpi neutralizzanti nei soggetti affetti da COVID-19, è stata riscontrata una maggiore risposta dei linfociti T CD8+ nel sangue e nel liquido proveniente dal lavaggio broncoalveolare (tecnica che permette il recupero di componenti cellulari e non dalla superficie epiteliale del tratto respiratorio inferiore) dei pazienti convalescenti che avevano manifestato una malattia lieve o moderata rispetto ai soggetti che presentavano una malattia grave.

Sulla base di queste premesse, nello studio condotto da Keeton e colleghi sono state esaminate le risposte delle cellule T in soggetti che avevano ricevuto una o due dosi di vaccino Ad26.COV2.S (Johnson e Johnson/Janssen, n = 20/gruppo), due dosi del vaccino mRNA BNT162b2 (Pfizer–BioNTech, n = 15) o dopo una pregressa infezione da SARS-CoV2 (n = 15). Sono stati, inoltre, esaminati donatori convalescenti con una mediana di 1,4 mesi dopo un’infezione lieve o asintomatica. Il vaccino in oltre l’85% dei soggetti aveva indotto una risposta dei linfociti T, misurata 22-32 giorni dopo l'ultima dose. Sia la vaccinazione che l'infezione avevano indotto una risposta delle cellule T CD4+ specifica contro la Spike, mentre una risposta CD8 veniva rilevata in modo meno consistente. I livelli di cellule T CD4+ nei confronti di Omicron erano costantemente e significativamente inferiori rispetto a quelli riscontrati nei confronti di SARS-CoV2 ancestrale, con una diminuzione dei linfociti CD4+ contro Omicron di circa 14-30%. Risultati simili venivano osservati per la risposta delle cellule T CD8+ (riduzione mediana del 17-25% della risposta CD8 a Omicron) nei vaccinati che avevano ricevuto due dosi di Ad26.COV2.S e nei donatori convalescenti. Gli autori hanno poi confrontato i profili polifunzionali delle cellule T nei vaccinati e negli individui convalescenti, dimostrando capacità simili per la co-espressione di citochine sia verso il genotipo ancestrale che verso Omicron. Nel complesso, questi risultati mostrano che il riconoscimento di Omicron da parte delle cellule T CD4+ e CD8+ è in gran parte conservato rispetto al ceppo ancestrale.

Inoltre, nello studio sono state confrontate le risposte dei linfociti T della quarta ondata epidemica, in cui è predominante Omicron, con quelle in cui era predominante il genotipo ancestrale (Onda 1, n=17), la variante Beta (Onda 2, n=16) e la variante Delta (Onda 3, n=16). Dato che le mutazioni di Omicron non sono presenti solo nella Spike, ma anche nel nuclecapside e nelle proteine di membrana, la risposta dei linfociti T è stata presa in considerazione verso questi differenti bersagli. Nonostante le differenze di età, gravità della malattia e comorbilità in tutte le ondate epidemiche, le risposte delle cellule T dirette contro la Spike, il nucleocapside e le proteine di membrana di Omicron erano di entità simile a quelle dei pazienti infettati da altre varianti di SARSCoV-2 nelle ondate precedenti. In aggiunta, la frequenza dei responder non differiva sostanzialmente nelle differenti ondate epidemiche. Non è stata riscontrata nessuna associazione tra le risposte rilevabili delle cellule T CD4+ e la durata di COVID-19 a partire dalla diagnosi o la gravità della malattia. Inoltre, l'entità delle risposte CD4 specifiche per Omicron erano sostanzialmente paragonabili a quelle del genotipo ancestrale. Tuttavia, alcune analisi effettuate per definire meglio se alcune mutazioni di Omicron determinano una fuga immunitaria, hanno suggerito che sebbene alcune mutazioni di Omicron possano mediare la ‘fuga’ da specifici linfociti T CD8+, non tutte le mutazioni sembrano avere un impatto sul riconoscimento di Omicron.

A cura di:

  • Cristina Stasi, Centro interdipartimentale di epatologia CRIA-MASVE, Dipartimento di Medicina sperimentale e clinica, AOU Careggi
  • Caterina Silvestri, Agenzia regionale di sanità della Toscana




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