Coperta Doc ARS 88 25 X 2016 smallSecondo le stime più aggiornate dell'Organizzazione Mondiale della Sanità ci sono al momento circa 1 miliardo di migranti oggi nel mondo di cui 214 milioni di migranti, che lasciano cioè il proprio paese d'origine e 740 milioni di migranti interni ai singoli stati. I bisogni di salute collettivi e le implicazioni di queste "popolazioni in movimento" sono notevoli.
Nel parlare di flussi migratori si considera un'ampia gamma di categorie anche molto diverse tra loro come i lavoratori, gli studenti, ma anche i richiedenti e titolari la protezione internazionale o migranti senza documenti, solo per citarne alcuni, e ognuno di loro si presenta con differenti bisogni, un diverso profilo di salute e differenti livelli di vulnerabilità.
In un mondo globalizzato, attraversato da crisi economiche e politiche e caratterizzato da forti disparità socio-economiche molto estese, da differenze di conoscenze e competenze, da profondi squilibri demografici e dalle conseguenze spesso drammatiche dovute al cambiamento climatico, la migrazione sembra essere la risposta comune a tutti questi diversi elementi/scenari. Facile capire quindi come la salute dei migranti e le questioni ad essa connesse con la migrazione siano cruciali sfide di sanità pubblica per i governi e per le società.

I migranti sono quasi sempre relativamente sani, ma è altrettanto vero che sono particolarmente esposti ad una serie di minacce per la loro salute fisica e mentale. Troppo spesso, i loro bisogni di salute sono poco conosciuti dagli operatori sanitari, i quali evidenziano frequentemente delle difficolta di comunicazione con i migranti, rendendo manifesta l'inadeguatezza dei sistemi sanitari nell'affrontare in maniera efficace le problematiche che essi pongono. Una delle principali ragioni per questa mancanza di comprensione è la scarsità di dati a disposizione: quanti migranti ci sono in un dato paese? Quali i loro determinanti di salute? Quali patologie li affliggono? Quale è il livello di accessibilità ai servizi sanitari? Questi dati ad oggi non sono disponibili nella maggior parte dei paesi europei.

Quello che abbiamo imparato ad oggi dalla ricerca sulla salute della popolazione dei migranti è che questa dipende da una molteplicità di fattori, in cui il ruolo dell'identità etnica e culturale nonché delle caratteristiche genetiche incidono sui bisogni di salute. Inoltre queste caratteristiche sembrano mutare o giocare un ruolo diverso anche in relazione alla durata della permanenza nel paese che li accoglie. Proprio per questo è molto rischioso provare ad operare generalizzazioni circa il livello di salute di tutti i migranti. Quello che sembrerebbe abbastanza assodato è che i migranti sono più vulnerabili rispetto le malattie trasmissibili, alle malattie professionali e a malattie derivanti da una più compromessa salute mentale. Queste sono in parte derivanti dai modelli di malattia prevalenti nei loro paesi di origine, dalle cattive condizioni di vita, dal lavoro precario e non sicuro e dai traumi che spesso subiscono durante il percorso migratorio. I migranti infine sono esposti a un più alto rischio per quanto riguarda la salute materna e i problemi connessi con la salute del bambino, con differenze nei risultati perinatali, in relazione anche ad un diverso utilizzo dei servizi di cure prenatali, più basso tra le donne migranti.

Con questa pubblicazione della collana dei Documenti ARS, l'Agenzia Regionale di Sanità della Toscana e il Centro di salute Globale della Regione Toscana tornano a fare il punto, a 5 anni dalla pubblicazione del primo report, sulla salute della popolazione dei migranti della nostra regione e sui modelli di presa in carico che il sistema toscano ha messo in campo dal punto di vista non solo sanitario ma anche sociale per rispondere ai loro bisogni. Dopo 5 anni, quindi, si tenta di verificare se il profilo descritto precedentemente e che è caratteristico della popolazione migrante in molti paesi europei è lo stesso o se si differenzia anche grazie alla capacità di risposta della Regione Toscana.
Con questo report ci riproponiamo di aggiornare, d'ora in avanti e più frequentemente, indicatori di salute della popolazione straniera residente (e non) e di mettere a disposizione i dati attraverso i portali di salute che sono già presenti all'interno dei 2 siti istituzionali, perché attraverso la conoscenza si riesca a pianificare la risposta più adeguata e immediata a quello che sembra essere ormai uno dei fenomeni più endemici della nostra storia contemporanea.
87 prima di copertinaDopo l’immissione in commercio, un farmaco è soggetto a un uso allargato sia in termini quantitativi che qualitativi. Per questo motivo è importante continuare la valutazione del profilo di utilizzo dei farmaci nella pratica clinica corrente. È inoltre cruciale proseguire la valutazione del profilo rischio/beneficio nella popolazione realmente esposta, quando le condizioni di utilizzo sono diverse da quelle sperimentate negli studi precedenti all’immissione in commercio.

Per questa tipologia di studi osservazionali l’Agenzia regionale di sanità della Toscana ha maturato al suo interno esperienze specifiche, sviluppando e coordinando studi metodologici, descrittivi ed eziologici a livello nazionale e  internazionale. L’ARS Toscana è diventata così parte di un’ampia rete di collaborazioni scientifiche che conducono sia studi per gli enti regolatori (Agenzia italiana del farmaco e/o Agenzia europea per i medicinali) che studi metodologici.

Con questo primo rapporto sull’utilizzo di farmaci, scritto in collaborazione con il settore Politiche del farmaco e appropriatezza della Regione Toscana, l’ARS cerca di fornire i primi strumenti di lettura sull’uso dei farmaci nella popolazione toscana, al fine di generare informazioni che possono essere utilizzate come riferimento per i processi decisionali in sanità pubblica, sia in termini di aderenza a linee guida terapeutiche sia in termini di sostenibilità dei costi.
Coperta ARS 86 2016 frontLa sostituzione chirurgica della valvola rappresenta il trattamento elettivo della stenosi aortica severa ma circa un terzo dei pazienti, in genere d'età avanzata, non può essere operato per la presenza di gravi comorbosità o per condizioni anatomiche della valvola o dell'aorta avverse all'operabilità.
La procedura di sostituzione della valvola aortica per via transcatetere (TAVI) è dedicata proprio a questi pazienti che, affetti da stenosi aortica sintomatica severa, presentano un alto rischio di mortalità perioperatoria.

L'impianto di una TAVI è molto costoso a causa del prezzo elevato del dispositivo impiantato. Anche se in questo momento il numero d'impianti è relativamente basso: 2.226 nel 2013 in Italia, secondo il registro nazionale GISE, di cui 179 in Toscana, è facile prevederne un incremento. L'aumento della popolazione anziana e il progresso delle tecnologie disponibili sono i 2 meccanismi che determineranno tale aumento, mentre l'elevato costo sarà il fattore frenante tale tendenza.
Come in altre situazioni, ormai sempre più frequenti, anche nel caso dell'impiego delle TAVI, affrontiamo il dilemma tra benefici potenziali e sostenibilità finanziaria. Paragonando per costo/efficacia la TAVI con la terapia chirurgica standard, la procedura è associata a costi maggiori nella fase periprocedurale, ma a costi minori nel primo anno di follow up, a causa della minor frequenza di reospedalizzazioni nei pazienti sottoposti a TAVI.

L'Agency for Healthcare Research and Quality (AHRQ) nel 2012 indica chiaramente che una procedura TAVI è associata a un significativo impatto sui costi sanitari. Da notare che i costi connessi alla procedura aumentano a causa del costo del dispositivo ma quelli della degenza ospedaliera, che è inferiore rispetto all'intervento di sostituzione tradizionale, diminuiscono. Comunque sia la TAVI ha sicuramente un costo maggiore rispetto all'intervento chirurgico tradizionale, soprattutto se ci si limita a considerare il primo anno successivo, però determina un importante miglioramento della qualità della vita. Misurando il fenomeno in QALY (quality-adjusted life year) si può concludere favorevolmente dal punto di vista del rapporto costo/efficacia della procedura. Sempre che la selezione dei pazienti sia stata correttamente mirata.

Il rapporto pubblicato dal National Health System (NHS) nel 2013 sul costo/efficacia della TAVI in pazienti con stenosi aortica ad alto rischio chirurgico o inoperabili, indica che nei pazienti non candidabili all'intervento tradizionale, la TAVI è più costosa ma più efficace della terapia medica. Per quanto riguarda invece l'utilizzo della TAVI al posto dell'intervento tradizionale, la metodica risulta più costosa e meno efficace (in termini di QALY). L'introduzione della TAVI è quindi complessivamente costo/efficace, solo nei casi in cui quelli che vengono sottoposti alla procedura sono inoperabili con l'intervento tradizionale.

In considerazione del potenziale aumento dell'uso della procedura, della permanenza di alcune controversie sui benefici, sui legittimi dubbi sulla sua sostenibilità, sull'importanza di definire con precisione e scegliere con oculatezza i pazienti "giusti", abbiamo preparato questo rapporto, per mettere il più in chiaro possibile lo stato attuale della metodica in Toscana, i suoi vantaggi e i suoi limiti. Per fare questo abbiamo chiesto l'aiuto degli specialisti dei 4 centri, AOU di Careggi, Pisa e Siena e Fondazione Monasterio, che la usano, di cui abbiamo avuto modo di apprezzare disponibilità e competenza.

Il primo risultato, non trascurabile, è stato comprendere il numero reale delle procedure effettuate, date le differenze tra i vari operatori nella codifica della procedura in SDO a causa dell'oggettiva assenza di un codice ICD-9 soddisfacente per identificarla. Il secondo, accordare tutti su una modalità omogenea di codifica e quindi, per la prima volta, conoscere con precisione non solo le dimensioni quantitative di questo tipo di procedura ma anche essere in grado di meglio definirne gli aspetti qualitativi: complicazioni, mortalità, sopravvivenza, equità d'accesso.
Coperta 85 IVG frontIn questo documento ARS vengono analizzati e illustrati per la prima volta per la Toscana, in modo sistematico, i dati relativi agli anni 1982-2013 sull’attuazione della legge 194 del 1978, che ha stabilito norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). 

Nel 2013 nelle strutture toscane sono state registrate 7.344 dimissioni per IVG. L’incidenza dell’IVG ha subito in Toscana, come in Italia, una diminuzione dal 1982 a metà degli anni 90, seguita da una tendenza alla stabilizzazione e poi ad un'ulteriore diminuzione negli ultimi anni. Il tasso di abortività è stato nel 2013 pari a 8,5 per 1.000 donne in età fertile, mentre ogni 1.000 nati vivi si sono registrate 240 IVG, valori leggermente più elevati rispetto alla media italiana (7,6 per 1.000 e 204).

L’andamento del fenomeno è certamente condizionato dall’aumentata presenza nel territorio regionale di donne straniere. Infatti negli anni vi è stato un aumento del numero di IVG effettuate da donne straniere immigrate. Nel 2013 il 42,6% delle donne che hanno fatto ricorso all’IVG era di cittadinanza straniera, proporzione più che raddoppiata rispetto al 2000, quando era del 18,7%. Mentre il tasso di abortività nelle donne italiane è diminuito, passando da 7,6 nel 2003 a 5,7 nel 2013, quello tra le donne straniere nel 2013 è stato di circa 4 volte superiore rispetto a quello delle italiane, ma si è dimezzato dal 2003 passando dal 52,7 al 23,8 per 1.000.

Merita particolare attenzione il fenomeno delle IVG tra le minorenni, in quanto pur trattandosi di una proporzione molto bassa (2,7%), rispetto al numero di nati vivi si registrano più IVG che nelle altre classi di età (nel triennio 2011- 2013 tra le minorenni si sono verificate 2.292 IVG ogni 1.000 nati), fenomeno che è più marcato tra le italiane. 

Nel 2013 il consultorio familiare pubblico è stato la struttura a cui più donne si sono rivolte per il rilascio della certificazione (49,3%), seguito dal medico di fiducia (33,6%) e dal servizio ostetrico ginecologico (15,9%). Negli anni si osserva una tendenza all’aumento del ruolo del consultorio familiare pubblico, determinato prevalentemente dal contributo delle donne straniere le quali ricorrono più frequentemente a tale servizio, in quanto a più bassa soglia di accessso e dove è spesso presente un mediatore culturale: nel 2000 il 31,3% delle certificazioni veniva rilasciato dal consultorio.

È aumentata negli anni la proporzione di donne che hanno già vissuto l’esperienza di almeno una IVG: erano il 21,6% nel 2000 e sono il 28,8% nel 2013. La proporzione di donne con precedenti IVG è più elevata tra le straniere rispetto alle italiane, in particolare per alcune etnie: più della metà delle cinesi (53,5%) e delle nigeriane (53,4%) che hanno effettuato l’IVG nel triennio 2011-2013 avevano già vissuto questa esperienza, seguite dalle donne provenienti dalla Romania (49,1%), dal Perù (47,8%), dalla Repubblica Domenicana (41,6%), dalla Macedonia (39,8%) e dalla Moldavia (39,3).

Un’altra criticità è rappresentata dal tempo di attesa per l’esecuzione dell’IVG: nel 39,7% dei casi è superiore a 2 settimane (era 24,3% nel 2000), valore in linea con la media nazionale del 37,7%. Come conseguenza il 52,3% degli interventi per IVG si effettua dopo l’8a settimana, con rischi maggiori per la salute delle donne, mentre quasi la metà (47,7%) degli interventi per IVG viene effettuata in epoca precoce, ≤8 settimane di età gestazionale (41,8% in Italia). Sono le straniere a presentare tempi di attesa più lunghi, indicando problemi nell’accessibilità ai servizi: l’intervallo tra la certificazione e l’intervento è inferiore a 15 giorni per il 52,4% vs il 66,0% delle italiane, mentre è superiore a 3 settimane rispettivamente nel 20,8% e nel 12,9% dei casi.