Le donne italiane assumono in gravidanza meno antidepressivi delle donne europee: risultati dal progetto EUROmediCAT


immagine farmaci  Il progetto europeo EUROmediCAT, che ha indagato sulla sicurezza dell’uso dei farmaci in gravidanza in relazione al rischio di malformazioni congenite, ha studiato in particolare anche l’uso di antidepressivi prima, durante e dopo la gravidanza. I primi risultati, pubblicati recentemente sulla rivista BJOG (An International Journal of Obstetrics and Gynaecology), evidenziano, fra l’altro, come le donne italiane sono quelle che assumono meno antidepressivi durante la gravidanza.

Depressione, farmaci e rischi per il feto
La depressione è piuttosto comune tra le donne in età riproduttiva: in Europa è stata riportata nel 6-13% dei casi. Gli antidepressivi serotoninergici (SSRI) sono gli antidepressivi più prescritti. Il consumo di SSRI durante la gravidanza è associato con alcuni esiti avversi della gravidanza, quali le cardiopatie congenite. La terapia contro la depressione non dovrebbe comunque essere interrotta in modo brusco durante la gravidanza, per evitare ricadute dei sintomi depressivi che a loro volta comportano documentati rischi per lo sviluppo del feto. Queste indicazioni, parzialmente contraddittorie fra loro, rendono necessario indagare come le donne europee gestiscono di fatto il trattamento della depressione durante la gravidanza.

Donne e uso di antidepressivi in Europa: i risultati del progetto EUROmediCAT
Nel periodo 2004-2010 il progetto EUROmediCAT ha condotto uno studio su circa 720mila donne ed oltre 850mila parti, inclusi in 6 database sanitari in altrettante regioni europee: tra queste anche due regioni italiane, Toscana ed Emilia Romagna. Sono stati analizzati tutti i casi in cui un antidepressivo è stato prescritto (nel Regno Unito) o dispensato (per tutte le altre regioni), nell’anno precedente la gravidanza, durante la gravidanza stessa e un anno dopo la gravidanza.

immagine uso antidepressivi in gravidanza

Il consumo prima e dopo la gravidanza è diverso nelle varie regioni, mentre si osserva ovunque una riduzione molto rapida del consumo a partire dall’ultimo trimestre prima dell’inizio della gestazione. Nell’anno precedente alla gravidanza, la prevalenza di utilizzo di SSRI risulta più elevata nel Galles (9,6%) e più bassa in Emilia Romagna (3,3%). Durante la gravidanza nelle due regioni italiane le prescrizioni risultano più basse rispetto alle altre 4 sedi dello studio, anche se in Toscana i valori sono circa doppi rispetto all’Emilia Romagna. E’ poi nel Regno Unito che, dopo la gravidanza, le prescrizioni  ritornano più rapidamente a valori più elevati.

Seguendo le donne che assumevano SSRI prima della gravidanza, lo studio però osserva che  il 40% non solo ne interrompe il consumo durante la gravidanza, ma non lo riprende dopo il parto: questo significa che una parte delle utilizzatrici post partum sono donne che prima della gestazione non assumevano antidepressivi.

Lo studio rileva inoltre che è la paroxetina il farmaco prescritto più comunemente nelle due regioni italiane e in Olanda: questo solleva notevoli perplessità, perché proprio questo farmaco sembra il più pericoloso per la salute del feto.

Dai risultati sembra dunque emergere la mancanza di un consenso europeo sul trattamento della depressione nelle donne in età fertile e soprattutto in gravidanza: studi come questo sono perciò utili ad aiutare donne e clinici a focalizzare rischi e benefici. Ulteriori approfondimenti sembrano poi necessari per individuare le ragioni dei livelli più alti di consumo osservati in Galles e nel resto del Regno Unito.

Concludiamo con una nota tutta italiana: ancora una volta la Toscana risulta una regione ad alto consumo di farmaci antidepressivi, rispetto a un’altra regione italiana. Tuttavia questo dato, messo in un contesto europeo, assume un’altra luce, e spinge ad approfondire se il maggior uso di questi farmaci in Toscana sia inappropriato o, al contrario, maggiormente corretto.
 




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