Il rischio di decesso tra i malati di CoViD-19

A cura di: F.Profili, S.Bartolacci, F.Voller


La letalità da CoViD-19, cioè la probabilità di morire tra i malati, è ancora un indicatore difficilmente misurabile senza rischiare di ottenere una misura resa imprecisa dai possibili bias (distorsioni) legati alla raccolta dei dati e ai tempi della prognosi della malattia.

Il reale numero di contagiati dall’inizio dell’epidemia non è noto. Specialmente nella fase iniziale non tutte le persone che presentavano sintomi riconducibili alla malattia sono state sottoposte a tampone. Inoltre, come ormai noto, la percentuale di asintomatici tra i positivi al tampone è elevata (circa il 40% stima uno studio realizzato in Veneto) ed è presumibile che prima dell’avvio delle campagne di screening con test sierologico queste persone siano sfuggite totalmente ai conteggi ufficiali dei contagiati.

Per gli stessi motivi, anche la notifica dei decessi da CoViD-19 potrebbe aver risentito di un problema di sottonotifica iniziale: una parte di questi potrebbe non essere stata attribuita al virus per la mancanza di un tampone prima della morte.

D’altro lato, anche presumendo di conoscere tutti i contagiati, la malattia ha un decorso molto lungo, spesso superiore al mese, e una fotografia dello stato attuale rischia quindi di non avere le numerosità sufficienti a misurare correttamente la letalità reale della patologia. Per farlo serviranno studi di coorte basati su una casistica solida e rappresentativa dell’intera popolazione dei malati.

Al momento attuale la notifica della guarigione si basa su due criteri, clinico o virologico, il primo basato sulla diagnosi clinica di risoluzione della sintomatologia e ritorno ad uno stato clinico asintomatico, il secondo sul risultato negativo di due tamponi consecutivi. Soprattutto il secondo criterio può risentire ancora di ritardi per il grande impegno dei laboratori territoriali e quindi sottostimare sia la tempistica in cui avviene la guarigione sia il numero di guariti tra i positivi al CoViD-19 ad oggi.

Obiettivi e metodi di analisi
Con i dati a nostra disposizione provenienti dalla Piattaforma ISS dei casi alimentata dagli operatori del Dipartimento di Prevenzione delle tre Asl toscane è possibile però impostare un’analisi caso-controllo sulle casistiche che hanno concluso il ciclo della malattia, arrivando alla guarigione o, purtroppo, al decesso dopo essere risultate positive al tampone. Tramite questa tipologia di analisi non possiamo stimare correttamente la letalità della malattia, perché il campione non è rappresentativo della popolazione ammalata, ma possiamo misurare l’effetto di alcuni potenziali fattori di rischio sulla probabilità di avere una prognosi sfavorevole. Numerosi studi e analisi in questi primi mesi hanno già evidenziato, infatti, il ruolo che età, genere e patologie croniche pregresse giocano nel decorso della malattia.

Per misurare l’effetto dei potenziali fattori di rischio sono stati calcolati i rischi relativi (odds ratio da modello logistico), grezzi e aggiustati per l’effetto combinato delle diverse variabili considerate. Età, genere e patologie croniche sono, infatti, associate tra loro e l’aggiustamento permette di ridurre, per quanto possibile, il confondimento che rappresentano l’una per l’altra, ottenendo così per ogni patologia pregressa una stima del rischio a parità di altre condizioni croniche, età o genere.

Fonte dei dati
L’11 maggio erano disponibili i dati di 926 deceduti e 4.096 guariti tra i positivi al CoViD-19 in Toscana, che a quella data erano poco meno di 9.800 (fonte: Protezione Civile). Si tratta quindi dell’87,5% dei deceduti e dell’86% dei guariti che risultavano ufficialmente a quella data, rispettivamente 950 e 4.764 da Protezione Civile.

La fotografia dei deceduti e dei guariti
Mediamente tra i deceduti il tempo trascorso tra l'emersione della malattia (positività al tampone) e il decesso è di 11,3 giorni, mentre il tempo medio di guarigione tra i guariti è di 29,4 giorni.

L’età media dei deceduti è di 82,2 anni, rispetto ai 55 anni dei guariti, gli uomini rappresentano il 59% dei deceduti e il 46,8% dei guariti. Tra i deceduti sono del tutto assenti pazienti al di sotto dei 20 anni d’età e sono comunque molto rari casi tra i 20 e i 50 anni (sono in tutto 8 su 926 deceduti osservati) (figura 1). La distribuzione per età dei deceduti è molto spostata verso le classi d’età più elevate (70 anni e più).

Figura 1. Deceduti e guariti per classe d’età – Valori percentuali – Fonte: elaborazioni ARS su dati ISS
fig 1
Quasi 1 deceduto su 2 si trovava già in condizioni cliniche severe al momento della positività al tampone (per circa il 20% dei casi non è disponibile l’informazione).

Per l’8,6% dei deceduti la diagnosi di positività al CoViD-19 è arrivata contestualmente al decesso (Figura 2). Solo l’1% dei guariti si trovava in uno stato clinico severo al momento del tampone.


Figura 2Deceduti e guariti per stato clinico rilevato al momento del tampone – Valori percentuali – Fonte: elaborazioni ARS su dati ISS
fig 2
Circa il 73% dei deceduti aveva almeno una patologia cronica pregressa, mentre la percentuale scende al 26,6% tra i guariti (figura 3). Tra le diagnosi più frequenti tra i deceduti troviamo il grande gruppo delle malattie cardiovascolari, seguita dal diabete e dalle patologie respiratorie croniche. Queste sono le patologie più frequenti anche tra i guariti, perché rappresentano le principali malattie croniche nella popolazione, in particolare tra gli anziani, la popolazione più colpita dalla malattia CoViD-19. Vediamo però che tra i guariti le prevalenze si riducono notevolmente, probabilmente anche per l’età mediamente più giovane che li caratterizza rispetto ai deceduti.

Figura 3. Deceduti e guariti, prevalenza patologie croniche pregresse – Valori percentuali – Fonte: elaborazioni ARS su dati ISS
fig 3   
L’effetto sul rischio di decesso tra gli over60enni
Vista la quasi totale assenza di deceduti nelle fasce d’età più giovani, l’analisi è limitata alla popolazione con almeno 60 anni d’età, nella quale si trovano 891 deceduti e 1.644 guariti. Tutti i risultati sono riportati in Tabella 1.

Un uomo, a parità di età e patologie croniche, ha oltre due volte il rischio di morire una volta ammalatosi rispetto a una donna, con un rischio relativo pari a 2,4.  L’effetto dell’età è altrettanto forte, con un progressivo aumento del rischio per le classi d’età più elevate. Già a partire dai 65 anni, rispetto alla classe d’età 60-64 anni, il rischio aumenta di almeno due volte e di fatto raddoppia al passaggio da una classe d’età all’altra (figura 4).

Figura 4. Odds ratio di decesso per età tra gli over60enni – OR (IC95%) aggiustati per genere e comorbilità - Fonte: elaborazioni ARS su dati ISS
fig 4   
A parità di età e genere, la probabilità di morire per un malato CoViD-19 con pregresse patologie croniche è circa 3 volte quella di un malato di CoViD-19 senza alcuna patologia pregressa (Tabella 1).

Tabella 1. Odds ratio di decesso per genere, età e patologie croniche tra gli over60enni – Casi e % tra deceduti e guariti, OR (IC95%) aggiustati per età, genere e altre comorbilità – Fonte: elaborazioni ARS su dati ISS
tab 1
Tra le diverse patologie rilevate quelle che sembrano avere l’effetto maggiore sul rischio di decesso sono le patologie epatiche croniche, ma il risultato è da considerarsi poco solido a causa della numerosità molto bassa della casistica (3 e 8 casi rispettivamente tra guariti e deceduti). Tra le patologie più solide in termini numerici i rischi maggiori si osservano tra i pazienti con pregresse patologie neurologiche, renali o respiratorie croniche. Tutte quante le cronicità hanno ovviamente una tendenza a peggiorare la prognosi, ma non per tutte c’è una chiara evidenza (intervallo di confidenza al 95% al di sopra del valore 1, che rappresenta l’aumento del rischio).

Figura 5. Odds ratio di decesso per patologie croniche tra gli over60enni – OR aggiustati per età, genere, altre comorbilità e intervallo di confidenza al 95% – Fonte: elaborazioni ARS su dati ISS
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Conclusioni
Queste prime analisi sulla casistica degli over60enni deceduti, confrontata con quella dei pazienti over60 guariti da CoViD-19, confermano le evidenze emerse in questi primi mesi sul ruolo che l’età, il genere e le cronicità pregresse giocano nella prognosi della malattia. È molto forte l’effetto dell’età, anche una volta aggiustato per il confondimento dovuto alla maggiore presenza di malati cronici nelle fasce d’età più avanzate. È possibile che nelle stime permanga comunque una parte di bias residuo dovuto alla mancata rilevazione puntuale di tutte le patologie croniche in entrambi i gruppi considerati (deceduti e guariti).

Tutte le patologie croniche considerate mostrano una tendenza a peggiorare la prognosi della malattia ed è presumibile che, laddove non si raggiunga una chiara evidenza statistica, questo possa dipendere dalla numerosità della casistica disponibile al momento, ancora troppo bassa per alcune patologie.

Sicuramente saranno necessarie ulteriori analisi su una casistica più solida e rappresentativa della popolazione ammalata da CoViD-19, ma già questi risultati preliminari dimostrano ancora una volta quale sia la popolazione da proteggere prioritariamente: grandi anziani e malati cronici, più soggetti non solo al contagio, come dimostrato da altre analisi già presentate, ma anche al rischio di decesso una volta contagiati. 

Francesco Profili, Simone Bartolacci, Fabio Voller - ARS Toscana



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